L’anima femminile di Firenze: Le artigiane dell’Istituto de’Bardi

Corrono le mani Victoria Bucca, pazienti ma decise, aprendo varchi nella carta, scansando intenti e citazioni, in una danza silenziosa che unisce storie da scrivere e storie già scritte. Argentina di nascita, toscana d’adozione, dal 2015 si occupa di divulgare attraverso corsi e workshop, la nobile arte della legatoria, continuando a portare avanti con tenacia un progetto nato nel 2013 a Buenos Aires. È un atto antico la rilegatura, sembra pensare mentre lavora sui fogli, antico e indispensabile come la volontà dell’uomo di tenere insieme i lembi del destino.

Siamo all’Istituto de’Bardi a Firenze, vera e propria istituzione cittadina che da fine ‘700 si occupa di promuovere e tutelare l’artigianato locale, eppure potremmo essere ovunque, perchè la passione non conosce limiti di spazio o di tempo, di sesso o nazionalità, seppure intorno a noi, in quest’incurisione nell’anima autentica dell’artigianato toscano, siano le donne, più di ogni altro, a farci da guida tra i meandri dei secoli.

Veronica Balzani, restauratrice, che ha fatto della medievale tempera al rosso d’uovo e della foglia d’oro i suoi tratti distintivi, Paola Caroti Ghelli, che da trent’anni continua a tessere tradizione e innovazione nelle trame leggere e potenti dei suoi gioielli in pizzo chiacchierino, tenendo così in vita una lavorazione le cui origini risultano troppo antiche da datare o ancora Francesca Bellesi, anima femminile dello storico atelier fiorentino Ippogrifo Stampe d’Arte, che da oltre quarant’anni si occupa di realizzare, insieme al marito Gianni e al figlio Duccio, preziose stampe attraverso la tecnica dell’acquaforte.

Storie di donne che ce l’hanno fatta, di mestieri d’altri tempi che diventano attualissimi tra le mani di chi il passato sa plasmarlo dando nuova forma al futuro. Un viaggio tra le mura e i tesori di Palazzo Capponi, sede storica dell’istituto, che da secoli forma nuovi artigiani preservando con cura un patrimonio materiale e immateriale di inestimabile valore, ma soprattutto nell’anima femminile della Toscana più vera, che non dimentica da dove viene ma soprattutto dove va, supportando e tutelando le attività creative e imprenditoriali di tutte coloro che continuano ancora oggi, con costanza e dedizione, a renderla cio che è sempre stata: faro artistico e culturale d’Italia.

Una realtà quella dell’Istituto de’ Bardi, capace di resistere anche agli urti della Storia, con la ripresa delle attività interrotte dall’alluvione del 1966, grazie al progetto di restauro avvenuto nel 2005 e sostenuto dal Comune di Firenze, dalla James Madison University della Virginia e dalla Cassa di Risparmio di Firenze e che ha visto l’attivazione di nuovi corsi, laboratori e progetti in sinergia con importanti enti e associazioni, portando avanti l’ideologia del fondatore Girolamo de’Bardi di proteggere e tramandare il ricco patrimonio culturale e artistico delle botteghe d’Oltrarno e Santo Spirito. Un luogo antico ma anche moderno, fisico ma anche ideale, dove la scienza incontra l’arte e la volontà di andare, tutti insieme, verso un’unica, splendente, direzione.

Tre giorni ho passato a Firenze in occasione del premio Gist Acta per il turismo culturale organizzato in collaborazione con Toscana Promozione Turistica, uno solo tra le mura di Palazzo Capponi, e non ho fatto altro che innamorarmi continuamente. Delle geometrie, degli sguardi, delle sorprese inaspettate, dei nuovi incontri, di tutto quello che ha finito inevitabilmente per appartenermi. Ho guardato fuori dalla finestra l’ultima notte, dalla mia camera “In Piazza della Signoria” – boutique hotel dove la storia d’amore e d’accoglienza di Sonia e Alessandro si fonde con quella eterna della piazza più iconica della città – e ho visto intorno tanta luce, tanto immenso splendore da capirlo chiaramente: ci sono posti che hanno un’anima. Che hanno una voce, uno sguardo, due mani e due gambe, che sono fatti di sogni e persone, di tutto ciò che del tempo vale la pena salvare.

Sono quei posti che non hanno barriere ma infiniti orizzonti, che parlano la lingua dell’emancipazione e dell’uguaglianza, che raccontano storie lontane, storie vicine e finiscono inevitabilmente per raccontare anche la nostra.

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